Home

Gli psicologi non fanno magie, aiutano invece a trovare nuovi percorsi.
Scoprire nuovi sentieri richiede tempo, energia, fatica e talora sofferenza, ma una volta scoperti, saranno utili per tutta la vita.

sabato 7 gennaio 2012

Adolescenti onnipotenti: perché dire di no.

Questo articolo è diretto ai genitori, non agli adolescenti; un adolescente, leggendo, potrebbe esserne irritato, sentirsi sminuito, ed in un certo senso va bene così: è comprensibile.
La riflessione nasce dall'osservazione di un gran numero di ragazzi che passano il loro tempo in attività quali l'uso eccessivo di alcol, vandalismo, comportamenti violenti, e non violenza da poco: mi capita di vedere ragazzi ubriachi che si prendono a bottigliate sul capo.
Preciso che non si tratta di ragazzi 'sbandati' o di 'extracomunitari', ma di ragazzi di ogni estrazione e provenienza. Il fenomeno di violenza più recente è nato da un semplice scambio di battute, iniziato con 'Hai una sigaretta?' e finito con 'No'. Da qui si è innescata la reazione.
Un'altra precisazione necessaria è la fascia d'età che rientra nell'adolescenza, che rispetto a qualche generazione fa si è allungata parecchio: a 20 anni l'adolescenza non è finita. Questo perché i tempi necessari ad arrivare all'autonomia si sono dilatati, anche grazie alla scolarizzazione molto maggiore.
Perché si verificano con frequenza certi episodi? Nello specifico, perché dei ragazzi tra i 16 ed i 20 anni decidono di passare il loro tempo in questo modo, che all'occhio di un osservatore appare chiaramente autolesionistico?
Un'importante necessità di bambini ed adolescenti è quella di trovare dei confini entro i quali muoversi. Un bambino ha bisogno di sentirsi dire cosa può e cosa non può fare; non serve spiegargli razionalmente perché non può giocare con i detersivi, perché un bimbo di pochi anni avrebbe comunque difficoltà a comprendere i concetti di pericolo, malattia, morte (per fortuna), ma è importante che lui si senta dire chiaramente 'Questo no!'. Va da sé che cercherà di mettere alla prova il genitore sfidandolo in questo divieto, ma la risposta deve rimanere la medesima.
Un adolescente capisce molto più di un bambino, comprende i concetti sopra citati, è in grado di pensare con una certa efficacia in termini di causa - effetto; tuttavia gli manca, per mancanza di esperienza, la capacità di dare il giusto peso a cause ed effetti. In altri termini, deve imparare la rilevanza di certe situazioni, di certi comportamenti e certe conseguenze.
L'adolescente infatti ha alcuni importanti passi evolutivi da compiere, tra i quali la socializzazione e l'inserimento in un contesto sociale, la costruzione di un immagine di sé realistica e soddisfacente, e quindi la distinzione dalla propria famiglia che avviene attraverso una fase di scontro, cui seguirà poi un riavvicinamento rispettoso delle differenze maturate. Separarsi dalla famiglia è difficile, perché i genitori appaiono ancora come molto più grandi, ed anche per questo motivo è importante inserirsi in un gruppo di pari, all'interno del quale sentirsi più forti, e sperimentare la propria personalità tramite la relazione.
Dal punto di vista dei genitori, v i è sempre maggior consapevolezza della necessità di questa fase, dolorosa e complicata, di scontro. Il fatto che i genitori siano sempre più consapevoli del loro ruolo, della loro responsabilità nella crescita e nello sviluppo dei figli, rende da un certo punto di vista il loro compito più difficile: è facile cadere nei sensi di colpa, in pensieri del tipo 'Se ora mio figlio è così difficile, evidentemente io ho sbagliato'. Il rischio è di divenire troppo permissivi.
E' importante ricordare che proprio durante questa fase di scontro, invece, i limiti comportamentali dei figli devono essere chiari, ben definiti, indiscussi (entro limiti ragionevoli). Dare all'adolescente dei limiti, quali ad esempio un orario di rientro, termini precisi su uso di motorino od automobile, priorità quali la scuola, ecc, è in realtà proprio funzionale alla sua ribellione, perché definisce uno spazio sicuro all'interno del quale il figlio può protestare, litigare, ribellarsi. In altre parole, si tratta di definire un terreno di scontro controllato, nel quale l'adolescente possa sì lottare, ma senza farsi veramente male; nel quale possa imparare che certi comportamenti conducono a determinate conseguenze, accertandosi che queste conseguenze non siano così pesanti da produrre una ferita indelebile. In questo modo l'adolescente potrà apprendere 'in sicurezza' a sbagliare ed a valutare il peso dei propri errori e delle relative conseguenza.
Definire questo spazio è il difficile compito dei genitori.
Ritornando all'origine di questo post, sembra che molti ragazzi non abbiano dei chiari limiti all'interno dei quali muoversi. La conseguenza è che si spingono fino a dove possono, perché fa parte della loro fase evolutiva cercare un limite ultimo; avere dei limiti consente di sentirsi sicuri e di programmare le proprie mosse con consapevolezza. L'importante rischio è che non trovino il limite, spingendosi sempre più in avanti. Fino, ad esempio, a comportamenti violenti od autolesivi.

Nessun commento:

Posta un commento