Prima o poi è capitato a tutti di ritrovarsi a mangiare senza sapere
perché, magari dopo aver cenato, la notte, o a metà del pomeriggio.
Tutto ciò che riguarda l'alimentazione attira un grande interesse: in parte dovuto all'importanza attribuita socialmente alla cura del corpo, soprattutto per quanto concerne il peso e la linea; in parte grazie ad una diffusione capillare della cultura della sana alimentazione, dovuta probabilmente alle scoperte di quanto i cibi poco sani possono influire sulla salute (tanto per citare un caso eclatante, pensiamo alla mucca pazza!).
Quali sono i motivi per cui mangiamo o non mangiamo a prescindere dai nostri bisogni nutrizionali?
Una prima riflessione righuarda la nostra capacità effettiva di riconoscere il bisogno di mangiare.
Molte persone, infatti, non lo riconoscono più, sentono solo la voglia
o non voglia, hanno tuttavia difficoltà a distinguere tra vera fame,
appetito, languorino, o tra sazietà e senso di pienezza. Vi è chi 'sta
morendo di fame' quando ha un pò di appetito; poco male finché si tratta
di un'etichetta linguistica, preoccupante invece quando la confusione
influisce direttamente su cosa e soprattutto quanto decidiamo di
mangiare. Vi è chi si sente sazio solo quando le pareti dello stomaco
tirano, sensazione che dovrebbe invece indicare che si è mangiato più
del necessario. E' chiara l'importanza in tal senso di una corretta
educazione alimentare, ma anche della capacità di ascoltare il proprio
corpo ed i segnali che ci manda. Il corpo è infatti in grado di
inviarci i segnali corretti; se non li interpretiamo come dovremmo,
significa che abbiamo imparato ad associare ad un segnale un
comportamento diverso da quello richiesto.
Ammesso ora di essere in grado di comprendere il nostro bisogno alimentare e di farvi fronte con un comportamento adeguato, capita talora di scegliere comunque un comportamento alimentare palesemente non congruo. Vediamo perché può accadere, riferendoci alle motivazioni di carattere psicologico che possono esservi sottese:
1. Il cibo viene utilizzato come 'coccola'
per colmare un bisogno affettivo. Sostituiamo consapevolmente una
piccola leccornia ad un altro bisogno. Quando questo accade,
generalmente siamo in grado di scegliere un alimento ed una corretta
quantità, sentendoci appagati da questa piccola trasgressione. Niente di
grave!
2. Il cibo sostituisce un importante bisogno affettivo
(ad esempio, un momento di grande solitudine o tristezza), ma non ne
siamo consapevoli; non comprendendo la nostra reale necessità, cerchiamo
di tamponare alimentandoci in modo poco controllato, e senza sentirci
appagati, frequentemente anzi sentendoci in colpa, perché non
comprendiamo le ragioni del nostro comportamento.
3. Ci
alimentiamo troppo poco o non ci alimentiamo affatto, perché non lo
consideriamo importante, abbiamo altro da fare, non vogliamo perdere
tempo, nonostante siamo consapevoli di avere fame. Questo accade perché non diamo importanza al nostro corpo ed ai suoi bisogni, o comunque li consideriamo meno importanti di altre cose come ad esempio darsi da fare, terminare il lavoro, ecc.
4. Ci alimentiamo troppo poco perché non sentiamo la fame, e non la sentiamo perché abbiamo imparato a non sentirla con un 'duro' o un 'lungo' allenamento:
ad esempio, perché siamo convinti di dover assumere meno calorie e
dimagrire, dimostrando in tal modo a noi stessi la nostra forza di
volontà; oppure perché siamo cresciuti in una cultura familiare per la
quale alimentarsi non è importante, o addirittura è un bisogno 'basso',
poco nobile, da ignorare e disprezzare.
5. Ci alimentiamo troppo perché questo è il modo che abbiamo imparato ad utilizzare quale sedativo di uno stato di malessere abbastanza costante,
quale può essere una tendenza depressiva, od uno stato di ansia
generalizzata. Il cibo è un farmaco che 'tappa' il nostro reale bisogno.
Chiaramente questo bisogno viene solo apparentemente sedato; dopo poco
ricompare e noi dobbiamo ricominciare da capo per non correre il
rischio di 'sentire' quelle emozioni o sensazioni che tanto ci
spaventano.
6. In alcuni casi, ci alimentiamo troppo perché è sempre stato così da quando siamo bambini, abbiamo imparato che questo è l'unico modo per sopravvivere,
al punto che l'idea di mangiare di meno ci spaventa molto, poiché
crediamo che potremmo davvero correre un qualche pericolo. Spesso questa
paura non è consapevole, non ce ne rendiamo conto; in questi casi
crediamo ed affermiamo di voler dimagrire, ma in realtà siamo
spaventatissimi dall'idea di perdere peso, come se dimagrire implicasse
perdere qualche 'pezzetto' importante di noi.
Se il primo caso,
quello della 'coccola consapevole', è piuttosto frequente, ed anche
talora, perché no, utile, tutti gli altri casi citati devono attirare la
nostra attenzione.
Alcuni degli esempi citati indicano la necessità di un intervento di educazione alimentare associato ad un percorso psicoeducativo
per imparare a riconoscere ed identificare correttamente i bisogni ed i
segnali del corpo (ad esempio, quando confondiamo appetito per fame, o
sazietà con la pienezza dell'abbuffata). In altri casi, è importante
riconsiderare le proprie priorità, dando il corretto valore ai bisogni
fisiologici (ad esempio, quando mangiare è una perdita di tempo o un
vizio da soffocare, oppure quando è un rito indipendentemente dalla
propria fame perché questo ci è stato insegnato fin da piccoli). Infine,
può essere necessario un intervento importante a livello psicoterapeutico,
in particolare quando il cibo soffoca importanti stati emotivi, o
viene utilizzato per non sentire determinate emozioni, o per dimostrare
a noi stessi ed agli altri, non mangiando affatto, che siamo più forti
dei nostri bisogni fisiologici.
Nei casi più noti di disturbo alimentare, quali anoressia, bulimia od obesità (tra i quali vi sono molte importanti differenze di cui non si parla in questo articolo) è necessario un intervento psicoterapeutico, associato ad una corretta rieducazione alimentare.
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