La violenza ha più forme, ma ha ottime doti mimetiche e si nasconde bene. Certo, parlarne come se fosse un'entità può far pensare che chi la attua sia una vittima. Il che, da un diverso punto di vista, è vero. Ma procediamo con ordine.
La violenza è una reazione aggressiva. L'aggressività serve a difendersi, e la parola 'serve' può anche essere sostituita con 'è utile', perché l'aggressività è utile quando veniamo attaccati.
Chi è violento, dunque, sta mettendo in atto un comportamento aggressivo. Possiamo chiederci perché lo sta facendo, e come si riconosce un comportamento aggressivo. Per quanto sembrino domande banali, non lo sono.
Iniziamo dal perché: In genere chi aggredisce ha paura, si sente attaccato, dunque chi sta mettendo in atto un comportamento aggressivo è spaventato. Il problema è che non sempre la minaccia che muove l'altro è facilmente riconoscibile; alle volte è addirittura 'spostata', cioè può capitare che una persona aggredisca qualcuno che non centra nulla con la fonte di pericolo che lo anima, ed ecco la classica violenza. Quella che si svela come aggressione immotivata.
Veniamo ora al come riconoscerla: essere violenti non significa solo picchiare, o solo insultare. Le forme di violenza peggiori, purtroppo, si verificano nelle relazioni importanti, ovvero in famiglia. Oggi se ne parla molto e forse l'idea che la famiglia sia talora il primo contenitore di violenza inizia a farsi strada nell'opinione delle persone, per quante resistenze, compresibilmente, vi siano. C'è una forma di violenza sfumata, non facilmente riconoscibile, che non si mostra con lividi od insulti, ma con la sistematica limitazione della libertà dell'altro. Questo 'ingabbiare' l'altro, inteso tra due adulti, si può fare in diversi modi: standogli sempre alle costole, non lasciandogli mai spazio, o anche ritirando affetto, dialogo, considerazione, risorse (denaro quando è controllato da un solo membro della famiglia), quando l'altro non fa quello che si vuole o fa qualcosa che non si vuole faccia.
Potremmo aprire una parentesi sul perché alcune persone sottostiano a questi comportamenti (mi riferisco a relazioni tra adulti, nel caso di bambini il discorso è completamente differente), ma non è nello scopo del post ed inoltre non vorrei passare il messaggio banale che 'è colpa di chi ci sta'.
Quello che sottolineo oggi è che questi comportamenti sono di fatto una forma di violenza, non minore, non secondaria, anzi, spesso costituiscono la premessa alla violenza fisica.
Ho accennato all'inizio che chi attua la violenza ne è, in un certo senso, vittima. E' vittima della sua incapacità di capire che cosa lo spaventa e porvi rimedio in modo efficace. Se temo che qualcuno mi abbandoni, e metto in atto comportamenti restrittivi della sua libertà per evitare che si allontani da me, significa in altre parole che continuo, qualunque cosa io faccia, ad essere insicuro, spaventato, a temere di restare da solo. In altre parole, vivo nella paura: una sofferenza.
Alla base il problema è proprio riconoscere e gestire le emozioni. Chi è violento, ha di solito appreso a reagire con aggressività ad una serie di sensazioni ed emozioni senza neanche riconoscerle e distinguerle; non riconoscendole, non mette in atto la risposta adeguata. L'unica risposta nota è l'aggressività, a prescindere dalla ragione del disagio. E' chiaro che il risultato non può essere buono, non troverà mai una 'soluzione' all'emozione negativa che sta provando, perchè la risposta comportamentale non è quella giusta. E' come ostinarsi ad aprire tutte le porte con la stessa chiave; nella gran maggioranza dei casi non si apre. Si finisce per farsi male prendendola a spallate...ed alla fine, di solito, non si apre comunque.
Nessun commento:
Posta un commento